Un caso di Disturbo Ossessivo Compulsivo “Tazzine ordinate, mani pulite: quale atto creativo mancato”

Ci incontriamo per la prima volta diversi anni fa. E’una donna aperta, conoscitrice di se stessa: sa quale è la sua diagnosi, un DOC, un disturbo ossessivo compulsivo. E su di esso si è ampiamente informata. Tra le altre notizie su cui è incappata su internet, c’è anche quella di una presunta carenza di una sostanza cerebrale. Mi chiede se si può assumere sotto forma di integratore alimentare, se questo fosse vero, non avrebbe voluto un farmaco, ma produrla naturalmente per non diventarne dipendente. Oppure avrebbe voluto avere un’alimentazione che le fornisse il giusto apporto di questa sostanza e recuperare in maniera altrettanto naturale le sue energie. Era convinta che la carenza di serotonina fosse la causa dei suoi mali. Le risposi che certi cibi contengono i precursori di certe sostanze necessarie per il cervello. Curiosa riguardo il suo disturbo è interessata sia al sostegno psicologico, sia alla modificazione biochimica degli equilibri delle sostanze cerebrali. Le piace svolgere lavori manuali e per questo ha ristrutturato il suo attuale appartamento con le sue mani, da sola. Le piacciono gli animali, le piace cucire.

Si stabilisce di portare avanti un intervento, con cadenza settimanale, la cui durata non si può stabilire a priori, ma ci diciamo che faremo dieci incontri al termine dei quali avremo modo di fare un bilancio. Mi promette di avvisarmi almeno 24 ore prima se dovesse assentarsi. Stabiliamo di poter fare un ultimo colloquio qualora decidesse di terminare il percorso, con lo scopo di non interrompere bruscamente e di non dare strappi alla relazione costruita con me. Stabiliamo di non avere contatti tra una seduta e l’altra, poiché è più utile avere una propria autonomia, senza dipendere ogni volta da me nel chiedere consigli e suggerimenti che immancabilmente non le avrei dato, per non dipendere da essi. Durante gli incontri affronteremo il suo sintomo ma soprattutto le ragioni che lo alimentano.  Ci daremo del lei, non del tu, poiché non è una relazione amicale: si tratta di una relazione terapeutica; la relazione terapeutica ha un termine; mentre la relazione di amicizia no. C’è una scrivania in vetro tra noi due che ci separa da un lato, ma dall’altro ci parifica in quanto ciascuno può lasciare trasparire le sue emozioni i suoi reali pensieri; vale la pena per lei un po’ alla volta svelarsi e essere in questo sempre più sé stessa.

La sfida che ci proponiamo di affrontare insieme è di riuscire a interrompere delle cattive abitudini, più spesso note con il termine di ”ossessioni e compulsioni”, il cui nome rende bene quanto difficile è disfarsene. E’presa da azioni ripetitive e irrefrenabili, e da altrettanti pensieri fissi, che le occupano la mente e anche tanto tempo nel corso delle sue giornate. Compulsione: una parola la cui etimologia si rifà al latino “compellere”, “spingere con forza”;   quasi ci fosse qualche cosa dall’esterno che la spinge a portare avanti questi rituali inutili: lavaggi di tazzine da caffè da ordinare meticolosamente e da non toccare una volta messe a posto, lavaggi di mani, sino a renderle logore,  rattrappite dall’acqua;  inutile  dispendio di energie durante le sue giornate, energie  che vorrebbe utilizzare per altro:  atti  creativi mancati, che solo successivamente sostituirà con altri gesti spontanei e altre esperienze di vita. Si prenderà cura di un animale, cercherà il suo lavoro, si dedicherà al suo fidanzato, e anche altro.  E’perfettamente consapevole della irrazionalità di questi gesti. Si sente presa da un loop di azioni e di pensieri che si autoperpetuano: non riesce a fermarle una volta che iniziano… come le ciliegie, una attira l’altra. Ma il gusto di queste azioni è davvero amaro.  Fa anche fatica a uscire fuori di casa, a godersi una serata in un chiosco con il suo fidanzato. E’ da un po’ che non esce la notte a ballare con lui; spesso piange a causa della sofferenza di questi suoi comportamenti. Chi le sta vicino sono i familiari. Ad essi assomiglia in quanto a timori e ansie; vuole riuscire a prendere distanza dal loro stile- per quanto voglia bene a loro. Eppure non esita a descriverli timorosi e lei invece vorrebbe essere impavida. Le è rimasto un fardello di colpe che ha commesso a dispetto dei suoi familiari, che la volevano con dei principi morali saldi. Ma non è con i rituali, le cosiddette compulsioni, che si alleggerisce da questi sensi di colpa: tanto tempo prima aveva tradito la fiducia del suo fidanzato; si era invaghita di un suo amico che aveva colto la palla al balzo, e una sera erano andati a finire a letto insieme. Questo fatto ancora la tormentava; alleggerirsene significava poter accettare e comprendere che quello stesso errore si potesse trasformare in un’opportunità di crescita.  Al contrario lei cercava di ridurre i suoi sensi di colpa passando attraverso rituali di riordino e di lavaggi e di “purificazione” dell’esterno, che, anziché farglieli mettere da parte le riportavano alla mente i suoi errori; lavarsi le mani, mettere ordine tra le tazzine da caffè, che ogni tanto acquistava le ricordavano, nel suo intimo, ancora di più quanto fosse stato “esecrabile” il suo comportamento.  Le tazzine dovevano stare in una loro precisa postazione e poi non le poteva più toccare. Queste azioni le rubano il suo tempo, le impediscono di realizzare ciò che desidera realmente, ciò che è alla sua portata.

Al contrario, per caso, e sotto richiesta intenzionale da parte del terapeuta, capita che tutte queste sensazioni di angoscia le attenua e le modifica, quando fa un racconto dettagliato di quando si trovava in vacanza, in relax con il suo attuale fidanzato, mi descrive di avere frequentato dei luoghi meravigliosi con lui; li ripercorre mentalmente; li ritrova nella sua memoria e glieli faccio ricordare di proposito, nei particolari. Rivive l’intera situazione vissuta, ha molte immagini, descrive i colori, i profumi di questi luoghi, le piacevoli sensazioni. Quelle stesse sensazioni le rivive mentre me le descrive meticolosamente. Ripercorre quei momenti che ha condiviso insieme a questa persona cara, il suo amato e riesce a rievocarli al punto che durante la seduta terapeutica, quando le chiedo che cosa sperimenta, si sorprende a percepire le stesse cose, il calore, il fresco, la leggerezza data da quei luoghi e da quei ricordi, in cui protagonista era questo sentimento verso l’attuale fidanzato. E’ anche il suo corpo che trae beneficio da quel ricordo. E’ incantata quasi, sorpresa ed estasiata da questi ricordi; finalmente riesce a non dover tenere sotto controllo le sue emozioni; si rende conto che il sentimento che prova verso questo ragazzo è reale, le da modo di sentirsi amata nella sua persona, mentre se ne sta seduta immobile, apparentemente senza far nulla: è in una trance terapeutica entro la quale germinano la fiducia e la speranza. E’ in grado di rivivere quel momento felice della sua vita ed è finalmente un po’più serena. Gesticola, e quando si rilassa profondamente la sua mano tende ad andare verso l’alto spontaneamente, quasi fosse sollevata da tanti piccoli volatili che, immagina, stiano lì per darle una mano e per alleggerire il suo fardello, e lasciarlo andare. In quelle situazioni il suo cuore batte più lento e più regolare e, come il cuore, anche il ritmo del suo respiro, scandisce i ritmi regolari della sua calma”. E’ anche propensa dopo alcune sedute preparatorie ad abbandonarsi all’emozione delle autoipnosi, delle trance autoindotte che le generano un profondo rilassamento, e di trasformazione interiore, anche quando starà da sola a casa in compagnia di se stessa, non più con il sentimento di solitudine. Basterà ricordare quei momenti quando starà da sola per ripetere quelle esperienze fatte durante le sedute in terapia. Genera delle amnesie, non ha più bisogno di riportare alla mente i fatti spiacevoli, il tradimento del suo fidanzato, per farsi prendere dal desiderio di riparare con quest’ultimo le colpe, che solo lei conosceva. Attraverso gesti quotidiani comprende che può amare comunque il suo fidanzato: può fargli qualche regalo, qualche bacio gratuito, qualche proposta di uscire fuori porta. Descrive nei dettagli il ricordo dei luoghi sicuri nei quali era a suo agio con lui. Riconosce le sue risorse, le sue abilità nel suo mestiere, sa cucire e sa prendersi cura di un cane, trovatello che insieme al suo fidanzato decide di sistemare in casa e di costruirgli una cuccia nel balcone. Riesce a esprimere, un po’ alla volta i suoi sentimenti verso di lui e a lasciarsi andare alle lacrime, non più amare ma di conforto, con la consapevolezza che non c’è bisogno di autoflagellarsi per sempre.  Superato questo scoglio si apre ancora di più, racconta, scandaglia ogni ambito della sua esistenza, il suo passato, il suo modo di essere, il suo futuro, si fida, si riconosce come persona che può sbagliare, e finalmente in cuor suo sente che la sua storia può essere raccontata in modo diverso, accolta da un altro che la accetta e si rende conto che  potrà proseguire in altri modi, nel futuro più imminente, domani, dopo-domani, il mese prossimo, non più assalita da gesti espiatori, simili alle abluzioni religiose. Riconosce il valore dei suoi affetti più cari: la sua famiglia. Comprende meglio anche che le ossessioni e i suoi rituali, i suoi dubbi, intendendole come l’imitazione dei timori e delle numerose paure di sua madre che a sua volta le aveva avute. Non vuole tramandarle ai suoi figli. I lavaggi via via diminuiscono, mano mano che si apre. Nelle prove mentali suggerite- cioè quando le si chiedeva di immaginare in modo realistico di fare delle cose differenti dai suoi rituali, vedeva sprazzi di vita da trascorrere con il suo fidanzato… poteva vedersi anche nel realizzare cose che non faceva da tanto tempo, come il ballo e le sue attività sportive. Dopo avere di volta in volta discusso con lei quale sarebbe stato il modo più agevole e accettabile per lavare le tazzine da caffè, e lavarsi le mani, facendo mentalmente delle azioni alternative e più naturali. Doveva dimenticarsi di come potevano esser compiuti nella loro semplicità questi gesti per riprendere a compierli naturalmente. Come? Poteva affrontate queste prove mentali semplici, accostandole e  associandole ai suoi momenti di pace vissuti con il suo fidanzato, in luoghi e momenti confortevoli. C’era bisogno di dimenticare i vecchi rituali semplicemente non prestando loro importanza.  Dimenticare era la chiave d’accesso per ritornare alla naturalezza per credere che si è in grado di fare delle cose semplici, naturali come lavarsi in breve. Le si ricordava che come non c’è bisogno di pensare ai propri passi mentre si cammina allo stesso modo, non c’è bisogno di riflettere mentre si sfregano le mani. Ha mostrato due volte a se stessa di poterlo fare; di- mostrava a se stessa di potersi migliorare, prima nel suo interno e poi lo ha all’esterno mostrandolo nei fatti che mi raccontava. Via via si è sentita l’esigenza di diminuire la frequenza delle sedute che inizialmente erano effettuate con cadenza settimanale, poi quindicinale e infine sempre più distanti. A distanza di un anno dall’ultima seduta le è stata posta una domanda: come avesse vissuto l’esperienza trascorsa, la risposta è stata: “La ripeterei”. Ha distanza di tre anni dall’inizio le è stato chiesto che fine avessero fatto le sue paure. La risposta è stata: “Le ho messa da parte del tutto per mia figlia”. L’atto creativo mancato più significativo si è rivelato la nascita di una figlia, di cui ora è pienamente soddisfatta, la figlia aveva preso il posto loro.

Ringrazio tutte le persone che con la loro storia mi hanno ispirato e dato modo di concentrare le loro vite in queste poche righe. In esse è riassunta una parte della loro esperienza reale, che per tutelare il segreto professionale è stata opportunamente modificata ma risponde a storie di vita vera.

Dr. Pierfrancesco Pisano

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