Sin dall’antichità le storie, i racconti, sono stati utilizzati per guarire le ferite e le ansie delle persone che le leggevano o a cui venivano narrate. I miti di dei, di ninfe e di satiri venivano rappresentati nel teatro greco con lo scopo di portare lo spettatore alla catarsi, cioè alla liberazione delle emozioni più nascoste.
Nel teatro greco potevano partecipare tutti, nobili e persone non abbienti, poiché era rivolto a tutti indistintamente. L’espressione artistica nel teatro era un mezzo per far emergere negli spettatori le emozioni spesso tenute a bada, e gli spettatori riconoscevano nelle vicende dei teatranti il loro vissuto, e talvolta il pianto era liberatorio.
Se ci spostiamo nella cultura araba e si leggono i racconti narrati ne “Le Mille e una Notte” ci si addentra in storie che hanno per scopo la cura e la guarigione dell’uomo ferito. All’inizio dell’opera una donna si assume il compito di guarire il proprio sultano dall’odio verso le donne e di salvare la vita di tante vergini che ad una ad una stavano scomparendo, ammazzate all’alba per opera del sultano. Con questo intento la donna si offre al posto di tante altre e gli racconta delle storie molto avvincenti che gli faranno perdere quest’odio e cureranno la sua paura di essere tradito e impediranno a lei e alle altre donne di essere ammazzate. Il finale verrà lasciato in sospeso e ripreso la notte successiva, per incuriosirlo e sedurlo e impedirgli di essere uccisa. Il sultano ogni notte rinviava tale femminicidio conquistato dai racconti.
Sherazade, il nome di questa eroina, con l’aiuto della sorella cura tale odio per mille notti con le sue storie meravigliose, sino a giungere alla millesima notte, al volgere della quale ha salva la propria vita poiché il sultano torna in pace con il genere femminile, consolato dall’amore dei 3 figli concepiti in quelle lunghe notti con Sherazade.
Anche nell’antica Roma le storie e i miti vengono utilizzati per “medicare” le ferite dell’animo delle persone. I miti romani descritti da Ovidio nella Metamorfosi: “Mito di Pan”, il “Mito di Narciso ed Eco”, “il Mito di Io”, per citarne alcuni, hanno come scopo quello di evocare nel lettore come curare rispettivamente l’ira e l’istintività di Pan attraverso l’arte e la musica; il narcisismo di Narciso, attraverso l’amore di Eco; la difficoltà a essere se stessa della ninfa chiamata “Io” con la compassione e la pietà di Giove e Giunone. Emerge così che soltanto placando l’essere centrato su di sé l’uomo guarisce: nel Mito di Narciso che respinge l’amore di ogni uomo e donna e ama se e soltanto se stesso egli esaurisce tutte le proprie energie amando null’altro che la propria immagine e per questo muore. Eppure, anche in questo caso l’amore di una ninfa verso Narciso, chiamata dal genio di Ovidio “Eco” lascerà per sempre gli echi di un amore nelle valli e nei drammi di Ovidio è sempre la pietà e la compassione a vincere.
Nel mito di Pan l’intento è di curare le emozioni della paura, dell’ira e della rabbia, e l’istintività animalesca dell’uomo. Pan, da cui trae origine la parola panico, è un satiro rappresentato con le sembianze di un’animale, che passa dall’essere puramente istintivo e animalesco all’essere un musico che suona il mitico flauto di Pan. Suonare attraverso quel flauto gli permetterà di tenere vivo l’amore per l’amata Sirinx che, in greco vuol dire canna; dalla metamorfosi di lei che chiese al padre, il fiume Laio, di essere trasformata in canna, vengono da Pan ritagliate le canne del mitico flauto di Pan, che ricompare nei miti come un mite pastorello che conduce le gregi.
Nel mito di Io si evoca la possibilità di trasformare l’individualità dell’uomo in qualcosa di meraviglioso. La ninfa “Io”, viene trasformata in donna, da giovenca che era, quando Giove implora la sua compagna Giunone, che la riportasse alle sembianze umane, provando compassione per il padre “Inaco”, anche lui, come Laio, un fiume. Si comprende come le comunicazioni in ogni mito abbiano tanti livelli, non solo quello letterale. Ciascuno ha da dire qualcosa di unico ad ogni individuo. Ovidio utilizza le storie di satiri, di ninfe di boschi e di dei per parlare al cuore dell’uomo e intende risvegliare negli uomini la pietà e la compassione.
Quando trionfa la compassione e la pietà di Giove e di Giunone la ninfa Io ritorna a stare sulle proprie gambe e può riabbracciare il padre Inaco, lei dismette le sembianze animalesche e torna a essere una donna. Attraverso la metamorfosi, Ovidio comunica come il cambiamento e la crescita siano possibili e spesso i personaggi più cattivi diventano buoni. I miti, Greci e Latini, e le storie della tradizione araba, ma anche le metafore religiose, portano il lettore a riflettere sui significati profondi dell’esistere. Con esse si affrontano le contraddizioni, i conflitti e i timori degli uomini, con l’intento di trasformarli e curarli. Allo stesso modo e con gli stessi intenti curativi, tutt’oggi si raccontano in psicoterapia queste storie.